lunedì 4 luglio 2011

In una valle di lacrimogeni.

È andata bene. Non la protesta. È andata bene e basta. Siamo andati a un passo dal dover piangere un altro Carlo Giuliani, ma per un fortunato destino ciò non è successo. Trovo perfettamente legittime e razionali le ragioni del movimento No Tav in Val di Susa e credo che la costruzione del nuovo tratto ferroviario sia un immane spreco di denaro pubblico.
Detto ciò, quello che è successo ieri è vergognoso e la colpa ricade su chi ha inopinatamente voluto trasformare un imponente dissenso pacifico in una violenta contrapposizione fisica. Così come a Genova dieci anni fa, gli organizzatori hanno colpe imperdonabili per l'accaduto. Al di là delle ipocrisie di sorta, i responsabili dei cortei sapevano bene come la situazione potesse degenerare da un momento all'altro, ma hanno continuato a soffiare sul fuoco, usando un lessico militare.
Dovevano essere i valsusini in massa a opporsi allo scempio della Tav e invece la loro causa è stata il pretesto per una guerriglia tra poveri, per giunta spesso neanche indigeni.
Scene deprimenti, altro che eroi. Da una parte professionisti dello scontro travestiti da manifestanti, dall'altra forze di polizia totalmente impreparate e mandate allo sbaraglio da uno Stato mai così assente.
I primi, evidentemente senza peccato, pronti a scagliare pietre contro agenti, intenti a loro volta a sparare lacrimogeni ad altezza d'uomo. Era ovvio che sarebbe finita così e fa ancora più male pensare che era prevedibile.
Era interesse di chi voleva delegittimare il movimento fare in modo che la protesta avesse questo risultato. 
Il solito ritornello del "non si può dialogare con gli estremisti" sta già risuonando, stroncando sul nascere qualsiasi civile contrapposizione dialettica sull'opportunità dell'opera. In migliaia si sono coperti il volto e hanno attaccato i poliziotti, definiti "servi del potere" ma in realtà vittime quanto loro del vuoto politico del nostro paese. Colpire loro per colpire lo Stato è un adagio tanto anacronistico quanto superficiale. Ha detto Grillo, senza distinzioni, che i manifestanti sono "eroi". Casini gli ha ribattuto, dicendo che gli eroi sono i poliziotti e gli operai. Fuori strada entrambi. 
Non c'erano eroi in Val di Susa, non ci dovevano essere. In uno Stato normale le manifestazioni non finiscono con inseguimenti nei boschi e lacrimogeni lanciati a caso. In uno Stato normale si prevengono eventuali azioni minacciose senza aspettare di dover reprimere alla cieca; in un paese normale un poliziotto che fa il suo mestiere non è un eroe. È un poliziotto; un cittadino che protesta per i suoi diritti non è un eroe. È un cittadino. Evidentemente però radicalizzare certe contrapposizioni è funzionale al mantenimento di un certo status quo.
A Genova morì un ragazzo di vent'anni per un colpo di pistola sparato da un suo quasi coetaneo. Avevano divise diverse, probabilmente nessuno dei due aveva una chiara percezione di chi fosse il suo "nemico" in quel momento. Carlo Giuliani restò a terra, ucciso. Per mesi non si parlò d'altro, mentre nelle segrete stanze del potere, quelle sì lontane da bombe carta e lacrimogeni, si continuavano a perpetrare ingiustizie sociali d'ogni tipo.
Alberto Perino
Dieci anni dopo non abbiamo evidentemente imparato nulla. Perino, responsabile storico del movimento No Tav, parla di "assedio riuscito". Ingenuità o irresponsabilità? Non si sa. 
Ciò che è chiaro è che in quella valle, tra manifestanti, poliziotti, giornalisti e demagoghi, c'era un'assenza che faceva più rumore di una frana: quella della politica, ossia quell'entità chiamata a mediare tra interessi dissonanti e a proporre una sintesi condivisa. Non una risposta in divisa. Antisommossa e abbandonata a sè stessa.

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