![]() |
Il parlamento. |
Diceva Kipling che le parole sono la più potente droga usata dal genere umano; Hugo le definiva "passanti misteriosi dell'anima". La politica dal canto suo è anche persuasione e la terminologia usata dai suoi attori ha segnato i loro percorsi. Come avevamo visto qualche giorno fa, il termine "partito" implica di per sè già una chiara scelta di campo, presupponendo la volontà di schierarsi, da una parte o dall'altra. La loro crisi è in parte attribuibile alla liquidità dei nostri tempi, ad una precarizzazione delle ideologie unita ad una diffusa insofferenza verso l'indottrinamento.
Certamente i partiti non sono più quei pachidermici apparati di qualche decennio fa, ma mantengono una sostanziale ipocrisia nel loro modo di porsi. La loro arroganza emerge dai nomi stessi degli schieramenti; la comunicazione politica è stata rivoluzionata dal carattere frenetico della nostra società, dalla necessità di attirare l'attenzione attraverso slogan ed espressioni brevi e significative. Tuttavia ciò non giustifica il furto di parole perpetrato dalla politica italiana; prendiamo ad esempio il termine più ricorrente dell'onomastica partitica: libertà; un concetto per il quale intere generazioni hanno lottato al fine di rendelo universale e su cui nessuna forza democratica dovrebbe mettere il cappello; invece una dilagante demagogia ha permesso che, non solo il monocratico partito attualmente al governo ne facesse uso, ma che fazioni politiche di diversa estrazione se ne attribuissero il titolo: Futuro e Libertà a destra, Sinistra Ecologia e Libertà dalla parte opposta. Senza dilungarsi su anacronistiche analisi storiche dei due schieramenti, appare comunque discutibile l'idea di segnare il proprio territorio usando parole che dovrebbero appartenere al patrimonio culturale e lessicale di tutto il Paese. La ragione di questa ricerca di sensazionalismo negli appellativi trova spiegazione nella fragilità del nostro sistema politico, costantemente incapace di trovare una qualsiasi stabilità e sempre pronto a inseguire l'umore popolare; è pratica diffusa quella di cercare nomi e acronimi politici attraverso ricerche di mercato, cercando quelli che suonano meglio, senza curarsi troppo di riempire di significato quelle parole. E' cosi anche nel centrosinistra, che dopo aver esplorato tutti i campi della botanica, ha ripiegato sull'aggettivo democratico, nella speranza americaneggiante di "bipolarizzare" la contesa e scegliendo di fatto di emarginare voci provenienti da forze concettualmente contigue.
C'è chi poi come Di Pietro ha messo in primo piano i "valori"; probabilmente i suoi elettori avrebbero voluto sapere a quali si riferisse quando ha fatto eleggere Scilipoti in parlamento. E proprio il Danny De Vito di Montecitorio ha coniato per il suo sparuto gruppo di tardivi sostenitori del governo una denominazione originale: i Responsabili. E del resto come appellare in altro modo persone che hanno così a cuore la cosa pubblica? L'hanno fatto per amore della nazione, dicono. Le poltrone piovute dopo sono la naturale conseguenza di cotanto patriottismo.
Già,la patria: sembra che il prossimo nome del Pdl non sarà "Partito dell'amore": il marchio fu registrato dai sostenitori di Moana negli anni '90 ed è inutilizzabile; pare che si chiamerà semplicemente "Italia". Ecco, adesso ho un po' di nostalgia della Prima Repubblica: almeno lì le cose si chiamavano col loro nome.