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giovedì 2 giugno 2011

Il Grillo straparlante.

Beppe Grillo.
Chi genera movimento inevitabilmente immette caos in un sistema stabile. Solo che a volte i risultati non sono quelli sperati e il dinamico tentativo di originare un ordine diverso delle cose si riduce a una confusa sparatoria alla luna.
Beppe Grillo è una persona che ha avuto un progetto lodevole; il suo blog ha raccolto tante voci dimenticate, ha sostenuto progetti importanti fino all'idea di far nascere un soggetto politico lontano da logiche partitiche e fondato sul semplice associazionismo civico. Il Movimento 5 stelle ha preso vita dandosi un programma, misurandosi su idee e non su ideologie, ed urlando nelle piazze la propria distanza dalla politica mercenaria. Dice Grillo che "se togli i soldi alla politica resta la passione, se metti i soldi nella politica resteranno solo quelli"; tesi sommaria e condivisibile in un certo senso; ma allora perché un comico che offre uno spettacolo di un paio d'ore, non lo presenta come servizio ricreativo o divulgativo nelle piazze e invece fissa il biglietto d'ingresso a cifre proibitive per gran parte della popolazione? Non troppo democratico nè partecipativo, mi sembra.
Perché quel comico una volta rompeva i computer sul palco in segno di dissenso totale verso un mondo votato ad un vuoto progresso tecnologico e ora vede la rete di Internet come l'unica salvezza dell'umanità?
Grillo in un Vaffa-day.
Ha cambiato idea e non c'è niente di male in sè nel farlo; purtroppo però, col passare del tempo, Grillo ha dato al movimento una caratterizzazione sempre più giacobina, insistendo più sulla rivendicazione di una pura e incontaminata alterità del suo movimento, eccedendo nel livore senza evolversi nelle proposte. 
In ogni caso il riscontro elettorale è stato positivo, in alcuni casi (vedi il 10% di Bologna) eccezionale; l'ingresso nei consigli comunali dei suoi giovani seguaci è un fatto positivo che tuttavia lascia spazio a un dubbio: come faranno i suoi esponenti a realizzare progetti e a farli approvare mentre il loro leader continuerà nella sua totale intransigenza verso qualsiasi attore politico e sputerà veleno sul famigerato sistema? Del resto la politica è nella sua accezione più nobile l'arte del compromesso e non si capisce perché questo debba sempre essere visto come uno scadimento e non come un'elevazione dell'interesse pubblico. I recenti attacchi del poliedrico personaggio genovese alla sinistra sono una sua strategia di posizionamento proprio in quel sistema tanto vituperato; Grillo sa che Berlusconi è a fine corsa e adesso ha bisogno di un nemico nuovo: lo ha individuato nella partitocrazia in senso indiscriminato, concentrandosi sul Pd perché probabilmente sarà il prossimo partito al governo. Gli attacchi gratuiti a Pisapia attraverso la storpiatura del nome, innovativa tecnica comica usata persino da quel giullare che conduce il Tg4, l'oscuramento totale della notizia del plebiscito per l'ex amico De Magistris e la solita litania qualunquista, fanno pensare a un Grillo spiazzato da un tale entusiasmo popolare verso figure che non avevano la certificazione di purezza 5 stelle. Eppure hanno vinto, hanno ridato speranze e creato aspettative: i partiti sono stati strumenti e non attori protagonisti. 
Dal suo blog continuerà senz'altro a lanciare strali erga omnes e spesso saranno pretestuosi; continuerà a mostrare le violenze sugli indignados dimenticando che Pisapia era stato anche l'avvocato della memoria di Carlo Giuliani, si batterà per i referendum, scordandosi che nelle piazze festose di lunedì si parlava tanto anche di questo. Il movimento è vorticoso, si sa: le ragioni dei ragazzi restano, qui come in Spagna.
I demagoghi invece sono solo provvisori. E inutili, come diceva Pericle.

martedì 31 maggio 2011

Fiori d'arancio, avanti di slancio.

Giuliano Pisapia
Le svolte si fondano su azioni e parole. Hanno facce nuove e storie innovative; hanno simboli e soprattutto colori inusuali. E da ieri una nuova Italia, dopo aver ritrovato il gusto di avvolgersi nel tricolore non solo per motivi sportivi, ha fatto una chiara scelta cromatica e si è colorata di arancione; bandiere, magliette, striscioni, sciarpe e palloncini hanno spazzato via il grigiore di una politica salottiera ed elitaria, facendo da sfondo a un cambio di passo culturale ancor prima che politico.
Nell' antica Roma le spose si vestivano di arancione, perché esso era simbolo di calore, il più adatto a rappresentare l'unione dei sentimenti nel matrimonio. Nel 2011 le cose non sono cambiate: la sinistra ha messo da parte le sue bandiere e i suoi vecchi colori; non lo ha fatto rinnegandoli; li ha fatti incontrare ed è stata la sua gente a sposare questa creazione. Intorno all'arancio si è stretto il popolo di Milano che aveva smesso di amare quel colore (paradossi...) dai tempi degli olandesi del Milan di Sacchi; e lo stesso hanno fatto i napoletani, forse anche perché hanno capito che era quello che più risaltava con l'azzurro del loro cielo e delle loro passioni.
Del resto, proprio per questa sua capacità di spiccare, è il colore usato nella segnaletica stradale per marcare le differenze e segnalare i pericoli. Proprio come nella politica del nostro paese, esattamente com'era successo in quell'Ucraina di qualche anno fa, liberata dalle oligarchie e dalla corruzione del vecchio sistema di potere attraverso una rivoluzione pacifica guidata da Yuschenko e dal suo popolo arancione.
Luigi De Magistris
In certe religioni ha poi un valore molto profondo: nell'induismo significa rinuncia ai beni materiali e i monaci buddisti, espressioni viventi di calma e serenità, lo portano sulla loro veste; impossibile non collegarsi alle parole di Vendola, a quel suo entusiasmo nell'avere sconfitto una Milano affarista e al suo desiderio di abbracciare tutti quei popoli vogliosi di pregare la divinità prediletta.
Mentre la destra sbraitava contro la possibile deriva estremista, nel paese avanzava una forza tranquilla e dirompente, inarrestabile ed efficace come quei discorsi detti sotto voce, ma diretti al cuore.
Resta un dubbio: l'arancione è un ibrido, così come la coalizione vincente; sarà il prossimo futuro a stabilire se la sua eterogeneità sarà la sua forza o una debolezza. Quello che dovrà fare sarà seguire una regola di educazione stradale e comportarsi come ai semafori: rallentare a un passo dall'incrocio quando si accende l'arancione non è prudenza, è farsi tamponare. Dovrà accelerare, altrimenti la constatazione dei suoi elettori sarà tutt'altro che amichevole: il loro desiderio lo hanno espresso e sperano che quel colore sia anche quello del tramonto di un modo di rappresentarli ormai improponibile.
    

lunedì 30 maggio 2011

Venti ed eventi travolgenti.

Pisapia, sindaco di Milano.
Era nell'aria. Forse non eravamo consci di quanto fossero forti queste folate e dubitavamo del fatto che un generico  dissenso potesse trasformarsi in un risultato elettorale così chiaro. Da mesi le piazze venivano riempite da manifestazioni che contestavano il governo;  la convinta celebrazione popolare dell'unità d'Italia opposta allo scetticismo leghista e la presa di coscienza delle donne italiane, sfociata nell'oceanica adunata dello scorso febbraio, sono solo gli esempi più eclatanti.  
La discesa in campo di Berlusconi nel '94 aveva generato entusiasmi trasversali; un imprenditore di successo, così lontano nei modi e nel percorso personale da quella vetusta classe dirigente della Prima repubblica, aveva illuso una popolazione storicamente avvezza ad affidarsi a una figura forte ed apparentemente innovativa nei momenti più cupi. E' durato molto l'idillio, seppur contraddistinto da fisiologici alti e bassi: una consistente parte del paese ha avuto una fiducia quasi incrollabile nei suoi confronti, perdonandogli una perenne asimmetria tra promesse e risultati effettivi. D'altra parte l'alternativa era latitante: una sinistra litigiosa, incapace di far convergere in una posizione unitaria la sua complessa dialettica interna, ha steso il tappeto rosso per anni al berlusconismo. La confusione del centrosinistra ha allontanato un elettorato che pretendeva risposte chiare a problemi specifici; così la semplicistica narrazione politica del PdL ha affascinato cittadini smarriti, poco propensi a seguire le diatribe dello schieramento opposto. I guai giudiziari e personali del premier non sembravano scalfire il generale consenso attorno alla sua coalizione, sospinta da una Lega capace di cavalcare la volontà di arroccamento settentrionale, sia verso il centralismo romano, sia verso le ondate migratorie. 
Il politologo Lazar diceva che Berlusconi e i suoi avevano vinto una guerra di valori; ed è proprio da una repentina svolta valoriale che è nata questa rivoluzione di maggio. In presenza di una situazione economica sempre più precaria, la gente ha trovato rivoltante l'approccio volgare e offensivo dell'ultima campagna elettorale: non ha più riso alle barzellette misogine di un presidente lontano anni luce dai problemi di una società evoluta, consapevole e indignata. I suoi candidati non hanno dato risposte, mettendo in piedi una cervellotica campagna fondata sull'odio e non sulla proposta. Stavolta gli italiani si sono ribellati a questa deriva civile: lo hanno fatto stringendosi intorno alla moderazione di Napolitano, ritrovando i suoi toni pacati nella positività di Pisapia e la sua rettitudine in Luigi De Magistris,  uomo proveniente da quella magistratura tanto derisa a destra; hanno sentito il bisogno di legalità, diffidando delle oscure collusioni di Lettieri a Napoli; hanno capito l'irreversibilità del processo multietnico, sbarazzandosi dello strisciante razzismo della Moratti a Milano; in generale hanno apprezzato un modo di fare politica diverso, una politica partecipata, fatta di primarie e presenza territoriale.
De Magistris e la festa di Napoli.
Così la sinistra ha colmato il gap mediatico, coinvolgendo e dando speranza a un popolo stanco di delegare. Così ha vinto e così dovrà governare, sfruttando questo ritrovato entusiasmo, senza smettere di ascoltare la sua base allargata. Le aspettative create non possono essere disattese. Sarebbe imperdonabile.  

lunedì 23 maggio 2011

Un'estrema moderazione.

C'era da scommetterlo. La sbandierata intenzione dell'entourage del Pdl di tenere bassi i toni nella campagna elettorale milanese è naufragata rapidamente; il livore delle settimane che hanno preceduto il voto del primo turno continua a pervadere la comunicazione politica del sindaco uscente; dopo i falsi scoop personali, le visioni apocalittiche sui prossimi flussi migratori, le minacce di un' imminente deriva stalinista, sono arrivate anche presunte azioni violente di seguaci di Pisapia ai danni di un'indifesa sostenitrice della Moratti in un mercato cittadino. Fosse vero, l'episodio sarebbe di una gravità inaudita e riporterebbe lo scontro politico su piani che il nostro paese ha faticosamente messo alle spalle; fosse (come sembra da varie testimonianze) falso, il caso sarebbe ancora più allarmante; premesso che qualsiasi reato dovrebbe essere denunciato alle autorità competenti e non messo nel calderone mediatico in termini vaghi, appare imbarazzante l'irresponsabilità di chi, dall'alto di posizioni istituzionali, diffonde simili menzogne; Berlusconi ha parlato ai giornalisti in modo dettagliato dell'aggressione, dimenticando, forse per un'idiosincrasia cronica, di fare la stessa cosa con le forze che dovrebbero occuparsi del mantenimento dell'ordine pubblico; dall'altra parte Pisapia, "l'amico dei terroristi" e "ladro di auto", ha preferito seguire canali istituzionali, discutendo dei recenti episodi direttamente col questore; nonostante si accinga a "portare la droga a Palazzo Marino" e a trasformare Milano in una "zingaropoli", ha scelto nei fatti la via della moderazione; non per strategia ma per una semplice attitudine personale a fuggire lo scontro e a privilegiare la via del dialogo coi cittadini. Ascoltando ovunque ed evitando di inseguire la Moratti in argomenti extragovernativi.
In un recente messaggio Berlusconi si è detto preoccupato delle continue "contestazioni antidemocratiche" che hanno reso complicati gli ultimi comizi del sindaco uscente; tra questi estremisti, vale la pena di ricordarlo, anche un gruppo di disabili, apparentemente milanesi ma più probabilmente mandati dalla sinistra estrema a boicottare il lavoro svolto dalla Moratti nei servizi sociali.
Presidente, sia serio: continuare a vedere complotti e strategie estremiste dietro la figura di un candidato che ha iniziato la sua scalata da un partito col 4%, che ha sempre espresso posizioni garantiste, è una tesi tragicomica; denunciare, senza portare prove, episodi di violenza, rischia di scatenare un vortice inquietante. Cerchi piuttosto di capire i motivi veri di un cambiamento d'opinione, questo sì, davvero radicale ed estremo. Magari non vincerà la tornata elettorale, ma forse non perderà ulteriormente la residua dignità. In extremis.

giovedì 19 maggio 2011

Nessun apparentamento. Apparentemente.

Le forze politiche escluse dai ballottaggi del 29 maggio si sono quindi pronunciate: nessuna indicazione di voto ai propri elettori del primo turno. Ognuno faccia la sua corsa. Nessun apparentamento. 
Ma sarà veramente così? Partiamo da una premessa: la scarsa capacità di mobilitazione popolare da parte dei leader nostrani è certificata dal lento e costante calo nell'affluenza alle urne; viene difficile pensare che un'indicazione di voto, neanche destinato al proprio segno, possa spostare sensibilmente la bilancia elettorale. Tuttavia è la storia politica del Terzo Polo e quella del Movimento5stelle a fornire ai rispettivi sostenitori indicazioni utili su chi scegliere al secondo turno.
Il Terzo Polo è espressione di diverse anime, ma l'impulso decisivo alla sua formazione l'ha dato il desiderio di chiudere l'epoca berlusconiana, dopo l'emarginazione di Casini e Fini voluta dal sempre meno loquace premier; al di là delle dichiarazioni ufficiali, dovute anche al mantenimento di una linea ostinata e contraria al bipolarismo, chi vota UDC e FLI sa che questa è un'occasione irripetibile per ribaltare la scena e mettere in ginocchio il PDL. Perchè dovrebbe quindi soccorrerlo?
Il M5S si dichiara antisistema. E lo è, senza alcun dubbio. Per quanto si possa discutere su echi populisti e approcci vagamente qualunquisti, non si può negare il generale interesse suscitato dal movimento e dalla sua "orizzontalità", tema di cui parlerò nei prossimi giorni. Il giovane Calise, nel ribadire l'assoluta volontà di non apparentarsi con alcuno dei due contendenti, ha lasciato intendere un maggiore gradimento di molti grillini per Pisapia; è logico che una forza politica nata per combattere i poteri forti, si trovi necessariamente a osteggiare l'elitarismo gelatinoso della gestione uscente e a simpatizzare maggiormente per un candidato appoggiato da giovani e centri sociali, lontano dagli apparati del PD e più attento all'ambiente.
Se Pisapia,De Magistris e Zedda sapranno intercettare questi consensi latenti, è molto probabile che la prossima visita di Berlusconi al Quirinale sia per una mesta e inevitabile uscita di scena.