martedì 31 maggio 2011

Fiori d'arancio, avanti di slancio.

Giuliano Pisapia
Le svolte si fondano su azioni e parole. Hanno facce nuove e storie innovative; hanno simboli e soprattutto colori inusuali. E da ieri una nuova Italia, dopo aver ritrovato il gusto di avvolgersi nel tricolore non solo per motivi sportivi, ha fatto una chiara scelta cromatica e si è colorata di arancione; bandiere, magliette, striscioni, sciarpe e palloncini hanno spazzato via il grigiore di una politica salottiera ed elitaria, facendo da sfondo a un cambio di passo culturale ancor prima che politico.
Nell' antica Roma le spose si vestivano di arancione, perché esso era simbolo di calore, il più adatto a rappresentare l'unione dei sentimenti nel matrimonio. Nel 2011 le cose non sono cambiate: la sinistra ha messo da parte le sue bandiere e i suoi vecchi colori; non lo ha fatto rinnegandoli; li ha fatti incontrare ed è stata la sua gente a sposare questa creazione. Intorno all'arancio si è stretto il popolo di Milano che aveva smesso di amare quel colore (paradossi...) dai tempi degli olandesi del Milan di Sacchi; e lo stesso hanno fatto i napoletani, forse anche perché hanno capito che era quello che più risaltava con l'azzurro del loro cielo e delle loro passioni.
Del resto, proprio per questa sua capacità di spiccare, è il colore usato nella segnaletica stradale per marcare le differenze e segnalare i pericoli. Proprio come nella politica del nostro paese, esattamente com'era successo in quell'Ucraina di qualche anno fa, liberata dalle oligarchie e dalla corruzione del vecchio sistema di potere attraverso una rivoluzione pacifica guidata da Yuschenko e dal suo popolo arancione.
Luigi De Magistris
In certe religioni ha poi un valore molto profondo: nell'induismo significa rinuncia ai beni materiali e i monaci buddisti, espressioni viventi di calma e serenità, lo portano sulla loro veste; impossibile non collegarsi alle parole di Vendola, a quel suo entusiasmo nell'avere sconfitto una Milano affarista e al suo desiderio di abbracciare tutti quei popoli vogliosi di pregare la divinità prediletta.
Mentre la destra sbraitava contro la possibile deriva estremista, nel paese avanzava una forza tranquilla e dirompente, inarrestabile ed efficace come quei discorsi detti sotto voce, ma diretti al cuore.
Resta un dubbio: l'arancione è un ibrido, così come la coalizione vincente; sarà il prossimo futuro a stabilire se la sua eterogeneità sarà la sua forza o una debolezza. Quello che dovrà fare sarà seguire una regola di educazione stradale e comportarsi come ai semafori: rallentare a un passo dall'incrocio quando si accende l'arancione non è prudenza, è farsi tamponare. Dovrà accelerare, altrimenti la constatazione dei suoi elettori sarà tutt'altro che amichevole: il loro desiderio lo hanno espresso e sperano che quel colore sia anche quello del tramonto di un modo di rappresentarli ormai improponibile.
    

lunedì 30 maggio 2011

Venti ed eventi travolgenti.

Pisapia, sindaco di Milano.
Era nell'aria. Forse non eravamo consci di quanto fossero forti queste folate e dubitavamo del fatto che un generico  dissenso potesse trasformarsi in un risultato elettorale così chiaro. Da mesi le piazze venivano riempite da manifestazioni che contestavano il governo;  la convinta celebrazione popolare dell'unità d'Italia opposta allo scetticismo leghista e la presa di coscienza delle donne italiane, sfociata nell'oceanica adunata dello scorso febbraio, sono solo gli esempi più eclatanti.  
La discesa in campo di Berlusconi nel '94 aveva generato entusiasmi trasversali; un imprenditore di successo, così lontano nei modi e nel percorso personale da quella vetusta classe dirigente della Prima repubblica, aveva illuso una popolazione storicamente avvezza ad affidarsi a una figura forte ed apparentemente innovativa nei momenti più cupi. E' durato molto l'idillio, seppur contraddistinto da fisiologici alti e bassi: una consistente parte del paese ha avuto una fiducia quasi incrollabile nei suoi confronti, perdonandogli una perenne asimmetria tra promesse e risultati effettivi. D'altra parte l'alternativa era latitante: una sinistra litigiosa, incapace di far convergere in una posizione unitaria la sua complessa dialettica interna, ha steso il tappeto rosso per anni al berlusconismo. La confusione del centrosinistra ha allontanato un elettorato che pretendeva risposte chiare a problemi specifici; così la semplicistica narrazione politica del PdL ha affascinato cittadini smarriti, poco propensi a seguire le diatribe dello schieramento opposto. I guai giudiziari e personali del premier non sembravano scalfire il generale consenso attorno alla sua coalizione, sospinta da una Lega capace di cavalcare la volontà di arroccamento settentrionale, sia verso il centralismo romano, sia verso le ondate migratorie. 
Il politologo Lazar diceva che Berlusconi e i suoi avevano vinto una guerra di valori; ed è proprio da una repentina svolta valoriale che è nata questa rivoluzione di maggio. In presenza di una situazione economica sempre più precaria, la gente ha trovato rivoltante l'approccio volgare e offensivo dell'ultima campagna elettorale: non ha più riso alle barzellette misogine di un presidente lontano anni luce dai problemi di una società evoluta, consapevole e indignata. I suoi candidati non hanno dato risposte, mettendo in piedi una cervellotica campagna fondata sull'odio e non sulla proposta. Stavolta gli italiani si sono ribellati a questa deriva civile: lo hanno fatto stringendosi intorno alla moderazione di Napolitano, ritrovando i suoi toni pacati nella positività di Pisapia e la sua rettitudine in Luigi De Magistris,  uomo proveniente da quella magistratura tanto derisa a destra; hanno sentito il bisogno di legalità, diffidando delle oscure collusioni di Lettieri a Napoli; hanno capito l'irreversibilità del processo multietnico, sbarazzandosi dello strisciante razzismo della Moratti a Milano; in generale hanno apprezzato un modo di fare politica diverso, una politica partecipata, fatta di primarie e presenza territoriale.
De Magistris e la festa di Napoli.
Così la sinistra ha colmato il gap mediatico, coinvolgendo e dando speranza a un popolo stanco di delegare. Così ha vinto e così dovrà governare, sfruttando questo ritrovato entusiasmo, senza smettere di ascoltare la sua base allargata. Le aspettative create non possono essere disattese. Sarebbe imperdonabile.  

sabato 28 maggio 2011

Silenzio. Facciamo parlare la storia.

Il giorno che precede le elezioni è dedicato alla riflessione; quindi non parlerò di nessun politico. Anzi, preferisco lasciare  la parola a una persona vissuta nel V secolo a. C. in una Grecia molto diversa da quella di oggi; il suo nome era Pericle e queste frasi vengono dal "Discorso agli ateniesi" del 461.
Tucidide, storico dell'epoca lo acclamò come "primo cittadino" della città: leggendo quello che diceva, è facile capire il perchè. E in un momento in cui molte città decidono chi scegliere come primo cittadino, sono particolarmente appropriate. Riflettete.

Pericle (495-429)

”Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.

venerdì 27 maggio 2011

Alla(h)rmi e pregiudizi.

"Ma che razza di cristiani siete voi ciellini?". E' senz'altro questo il momento più forte della telefonata fatta da Celentano ad Annozero; l'argomento è quello della manifesta contrarietà della coalizione di centrodestra alla costruzione di una grande moschea a Milano. La domanda viene formalmente rivolta a Lupi e a Salvini, presenti in trasmissione, ma vuole arrivare al cuore di un sistema di potere che trova la sua massima espressione nella figura del governatore Formigoni, in carica dal 1995. L'opposizione alla nascita di un grande luogo di culto che permetta ai musulmani di esercitare la loro fede in una struttura adeguata e accogliente, ha trovato motivazioni variegate. Inizialmente esponenti leghisti e berlusconiani hanno puntato sul retrivo tema della difesa della cristianità, come se potesse esistere una competizione tra professioni di culto diverse, rinforzando le loro argomentazioni con la tesi delle violenze sui cristiani nei paesi islamici: no reciprocità, no Allah. Una volta essersi visti bocciare tale visione dalla stessa CEI e dalle parole ben più ecumeniche del cardinale Tettamanzi, la strategia è diventata allora quella di puntare nuovamente sul tema della sicurezza. La Moratti si è detta preoccupata del fatto che la moschea o, peggio ancora, un centro culturale islamico, possano diventare pericolosi luoghi di aggregazione per sovversivi carbonari musulmani. Ovviamente siamo nel campo non di ipotesi fondate, ma di vaghe supposizioni, tanto populiste quanto retrograde. Associare luoghi di ritrovo e di preghiera a covi di potenziali terroristi, denota una volontà di arroccarsi con demagogia nel proprio recinto, senza cercare di capire il fascino della diversità.
Come dimenticare d'altra parte che l'attuale ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli ha fatto pascolare il suo maiale in un terreno a Lodi destinato all'edificazione di una moschea, profanandolo e rendendolo così inutilizzabile; per par condicio comunque il ministro ha profanato anche il nostro sistema elettorale, varando il "porcellum". Una passione suina senza freni. Sarà che tra simili ci si prende subito.
Che razza di cristiani siete- chiede quindi il cantante nato per caso in via Gluck- se non mostrate quella tolleranza che sta alla base dei valori cattolici? 
Ci sono cortigiani che sono sempre più realisti dei re e politici che non capiscono che non ci sarà sviluppo senza integrazione. E' irritante l'idea che nel 2011 si debba ancora discutere di libertà confessionali più o meno ostacolate. Comunione e Liberazione fa  missioni benefiche in tutto il mondo ma forse qualche suo sostenitore troppo zelante potrebbe averne confuso scopi e destinatari. 
Resta il fatto che quella terza parola nell'acronimo PdL sembra proprio inappropriata certe volte; paradossalmente quei politici che diffidano di quelle persone inginocchiate, potrebbero finire loro stessi in ginocchio lunedì sera. Per colpa di loro concittadini. Con la schiena dritta per giunta. 

giovedì 26 maggio 2011

Ladri di parole.

Il parlamento.
Diceva Kipling che le parole sono la più potente droga usata dal genere umano; Hugo le definiva "passanti misteriosi dell'anima". La politica dal canto suo è anche persuasione e la terminologia usata dai suoi attori ha segnato i loro percorsi. Come avevamo visto qualche giorno fa, il termine "partito" implica di per sè già una chiara scelta di campo, presupponendo la volontà di schierarsi, da una parte o dall'altra. La loro crisi è in parte attribuibile alla liquidità dei nostri tempi, ad una precarizzazione delle ideologie unita ad una diffusa insofferenza verso l'indottrinamento.
Certamente i partiti non sono più quei pachidermici apparati di qualche decennio fa, ma mantengono una sostanziale ipocrisia nel loro modo di porsi. La loro arroganza emerge dai nomi stessi degli schieramenti; la comunicazione politica è stata rivoluzionata dal carattere frenetico della nostra società, dalla necessità di attirare l'attenzione attraverso slogan ed espressioni brevi e significative. Tuttavia ciò non giustifica il furto di parole perpetrato dalla politica italiana; prendiamo ad esempio il termine più ricorrente dell'onomastica partitica: libertà; un concetto per il quale intere generazioni hanno lottato al fine di rendelo universale e su cui nessuna forza democratica dovrebbe mettere il cappello; invece una dilagante demagogia ha permesso che, non solo il monocratico partito attualmente al governo ne facesse uso, ma che fazioni politiche di diversa estrazione se ne attribuissero il titolo: Futuro e Libertà a destra, Sinistra Ecologia e Libertà dalla parte opposta. Senza dilungarsi su anacronistiche analisi storiche dei due schieramenti, appare comunque discutibile l'idea di segnare il proprio territorio usando parole che dovrebbero appartenere al patrimonio culturale e lessicale di tutto il Paese. La ragione di questa ricerca di sensazionalismo negli appellativi  trova spiegazione nella fragilità del nostro sistema politico, costantemente incapace di trovare una qualsiasi stabilità e sempre pronto a inseguire l'umore popolare; è pratica diffusa quella di cercare nomi e acronimi politici attraverso ricerche di mercato, cercando quelli che suonano meglio, senza curarsi troppo di riempire di significato quelle parole. E' cosi anche nel centrosinistra, che dopo aver esplorato tutti i campi della botanica, ha ripiegato sull'aggettivo democratico, nella speranza americaneggiante di "bipolarizzare" la contesa e scegliendo di fatto di emarginare voci provenienti da forze concettualmente contigue.
C'è chi poi come Di Pietro ha messo in primo piano i "valori"; probabilmente i suoi elettori avrebbero voluto sapere a quali si riferisse quando ha fatto eleggere Scilipoti in parlamento. E proprio il Danny De Vito di Montecitorio ha coniato per il suo sparuto gruppo di tardivi sostenitori del governo una denominazione originale: i Responsabili. E del resto come appellare in altro modo persone che hanno così a cuore la cosa pubblica? L'hanno fatto per amore della nazione, dicono. Le poltrone piovute dopo sono la naturale conseguenza di cotanto patriottismo.
Già,la patria: sembra che il prossimo nome del Pdl non sarà "Partito dell'amore": il marchio fu registrato dai sostenitori di Moana negli anni '90 ed è inutilizzabile; pare che si chiamerà semplicemente "Italia". Ecco, adesso ho un po' di nostalgia della Prima Repubblica: almeno lì le cose si chiamavano col loro nome.

mercoledì 25 maggio 2011

Domandare è lecito. Rispondere è democrazia.

I confronti televisivi tra candidati sono una risorsa informativa di cui gli italiani hanno dovuto troppo spesso fare a meno negli anni scorsi. La strategia prediletta è stata quella del propagandare il proprio messaggio attraverso testimonianze indirette, solitamente affidate a professionisti dello scontro verbale da talk show. Un pessimo servizio per la democrazia e certamente un ossimoro rispetto alla personalizzazione della politica avvenuta nell'ultimo decennio; parte in causa di questo degrado civico è stato l'atteggiamento accomodante di una certa stampa che ha permesso ai governanti eccessi oratori privi di contraddittorio.
Il logo della campagna spagnola.
Come ha evidenziato Travaglio in un recente pezzo sul Fatto Quotidiano, in Spagna sta raccogliendo grande attenzione una campagna lanciata da alcuni giornalisti, chiamata "sin preguntas no cobertura": la stampa non darà visibilità a quei politici che continueranno a convocare conferenze stampa senza che ci sia la possibilità di fare domande. Nei cinque celebri interventi di Berlusconi della scorsa settimana le domande c'erano, ma solo come costruzione di sceneggiatura: lo ha confermato l'Agcom con una sentenza che, nel punire l'eccesso di esposizione inopportuna del premier, sottolinea come tale presenza non sia stata supportata da alcuna notizia. In parole povere: non ha detto niente. E' solo colpa sua? No, non possiamo prendercela sempre con lui; un giornalista che ha l'occasione di un'intervista così importante, deve creare la notizia; ha il dovere deontologico di mettere alle corde il principale burattinaio del teatrino politico italiano. Purtroppo le linee editoriali di molti tg non lasciano spazio a questo tipo di giornalismo e sono fiancheggiatrici di quella politica che preferisce ricorrere a decreti piuttosto che a dibattiti parlamentari. 
Zedda e Fantola
Oggi ho visto confrontarsi su Sky i due candidati rivali di Cagliari, Zedda e Fantola; è stato un confronto acceso, in un clima per niente asettico e moderato con professionalità ed equilibrio da un giornalista serio; entrambi hanno mostrato la loro faccia, forse la migliore, senza ricorrere a provocazioni sterili e attacchi personali, cercando di convincere dialetticamente gli elettori attraverso i programmi.
I cittadini sardi hanno così giovato di un ulteriore elemento di riflessione per scegliere chi sarà la loro guida nel prossimo lustro. La loro scelta sarà più consapevole grazie anche alle domande cui è stata data risposta. 
Se vale il detto "domandare è lecito, rispondere è cortesia", non ci resta che sperare nella gentilezza dei prossimi rappresentanti.


martedì 24 maggio 2011

Le risposte primarie.

Correva l'anno 1492. Un condottiero genovese salpato da Palos de la Frontera con un equipaggio complessivo di 120 uomini, suddiviso in tre caravelle, sbarcò incidentalmente su una terra sconosciuta; stava cercando la via più breve per le Indie, ma sbagliò qualcosa; un suo marinaio, l'andaluso Rodrigo de Triana, fu il primo ad avvistare terra: Cristoforo Colombo aveva appena scoperto l'America. Fu un imprevisto, un perfetto esempio di quello che in filosofia si chiama eterogenesi dei fini: il fare qualcosa con l'intento di raggiungere uno scopo e poi, sorprendentemente, conseguire un risultato addirittura migliore.
Ricorda qualcosa: la recente storia del PD. Il meccanismo delle primarie ha superato l'intento del partito stesso; dovevano essere sostanzialmente investiture per i candidati imposti dal partito e invece le sorprese sono arrivate ovunque: i vendoliani Pisapia e Zedda, l'ex pm dell'Idv De Magistris, per non parlare di Renzi  a Firenze, hanno sbaragliato le scelte verticali della segreteria nazionale e aggregato un consenso insperato.
E così quel PD che cercava la sua rotta, scervellandosi su come abbattere il potere berlusconiano e molto propenso a cercare i voti necessari al centro, si è trovato fra le mani le risposte. 
I suddetti candidati hanno interpretato un desiderio di cambiamento che la classe dirigente democratica non aveva saputo intercettare; in molti sondaggi è emerso come l'elettorato di sinistra tollerasse sempre meno vedere le stesse facce al comando e la perenne litigiosità interna allo schieramento.
Le primarie hanno salvato un partito, che ha avuto comunque il merito e l'umiltà di rimettersi al giudizio effettivo dei suoi sostenitori prima di sottoporsi al voto popolare. Quando la sinistra ha smesso di inseguire il PDL sul piano individuale, ossia quando ha smesso di cercare una figura carismatica che potesse competere con la monocrazia mediatica del premier, ha cominciato a ritrovarsi; sul manifesto elettorale di Bersani campeggiava la scritta "Oltre": sperava di sorpassare il berlusconismo, ma i risultati del primo turno hanno oltrepassato  strategie e disegni del partito stesso.
E' un segnale che deve essere ricordato nelle prossime consultazioni: lontano dai salotti, a rispettosa distanza dalle chiese, quartiere per quartiere, senza lasciare nessuno indietro, la sinistra italiana può vincere. Senza ricorrere al "papa straniero", senza aspettare che sia la giustizia a toglierle il gusto della vittoria.

lunedì 23 maggio 2011

Un'estrema moderazione.

C'era da scommetterlo. La sbandierata intenzione dell'entourage del Pdl di tenere bassi i toni nella campagna elettorale milanese è naufragata rapidamente; il livore delle settimane che hanno preceduto il voto del primo turno continua a pervadere la comunicazione politica del sindaco uscente; dopo i falsi scoop personali, le visioni apocalittiche sui prossimi flussi migratori, le minacce di un' imminente deriva stalinista, sono arrivate anche presunte azioni violente di seguaci di Pisapia ai danni di un'indifesa sostenitrice della Moratti in un mercato cittadino. Fosse vero, l'episodio sarebbe di una gravità inaudita e riporterebbe lo scontro politico su piani che il nostro paese ha faticosamente messo alle spalle; fosse (come sembra da varie testimonianze) falso, il caso sarebbe ancora più allarmante; premesso che qualsiasi reato dovrebbe essere denunciato alle autorità competenti e non messo nel calderone mediatico in termini vaghi, appare imbarazzante l'irresponsabilità di chi, dall'alto di posizioni istituzionali, diffonde simili menzogne; Berlusconi ha parlato ai giornalisti in modo dettagliato dell'aggressione, dimenticando, forse per un'idiosincrasia cronica, di fare la stessa cosa con le forze che dovrebbero occuparsi del mantenimento dell'ordine pubblico; dall'altra parte Pisapia, "l'amico dei terroristi" e "ladro di auto", ha preferito seguire canali istituzionali, discutendo dei recenti episodi direttamente col questore; nonostante si accinga a "portare la droga a Palazzo Marino" e a trasformare Milano in una "zingaropoli", ha scelto nei fatti la via della moderazione; non per strategia ma per una semplice attitudine personale a fuggire lo scontro e a privilegiare la via del dialogo coi cittadini. Ascoltando ovunque ed evitando di inseguire la Moratti in argomenti extragovernativi.
In un recente messaggio Berlusconi si è detto preoccupato delle continue "contestazioni antidemocratiche" che hanno reso complicati gli ultimi comizi del sindaco uscente; tra questi estremisti, vale la pena di ricordarlo, anche un gruppo di disabili, apparentemente milanesi ma più probabilmente mandati dalla sinistra estrema a boicottare il lavoro svolto dalla Moratti nei servizi sociali.
Presidente, sia serio: continuare a vedere complotti e strategie estremiste dietro la figura di un candidato che ha iniziato la sua scalata da un partito col 4%, che ha sempre espresso posizioni garantiste, è una tesi tragicomica; denunciare, senza portare prove, episodi di violenza, rischia di scatenare un vortice inquietante. Cerchi piuttosto di capire i motivi veri di un cambiamento d'opinione, questo sì, davvero radicale ed estremo. Magari non vincerà la tornata elettorale, ma forse non perderà ulteriormente la residua dignità. In extremis.

domenica 22 maggio 2011

Il sogno di una politica illuminata.

Ieri sera ho visto una lucciola. E non intendo un'autostoppista del sesso, tipico complemento d'arredo delle ipocrite strade cittadine; parlo dell'insetto, quello che per magia si accende nelle notti estive, con intermittenza ed egocentrismo. Ho seguito il suo volo; era tanto tempo che non ne vedevo una e mi è venuto in mente quello "scritto corsaro" di Pasolini che denunciava la scomparsa delle lucciole già negli anni '70: colpa dell'aria inquinata- diceva- oppure dell'acqua contaminata dei fiumi. Ho pensato che ci guardiamo troppo poco intorno e avevo già avuto modo di riflettere su questo punto, dopo aver visto "The tree of life", capolavoro di Terrence Malick presentato a Cannes; i contenuti del film sono più o meno piacevoli, ma le infinite sequenze di immagini naturaliste che ci vengono sbattute in faccia ci costringono, nell'assenza di dialoghi da seguire, a fare i conti col nostro rapporto con l'ambiente circostante e forse anche a sentirsi più umili verso cotanta maestosità.
Sulla scena politica recente i movimenti ecologisti europei hanno vissuto alterne fortune, ma sembrano tendenzialmente in crescita quasi ovunque; non solo la politica, ma anche molte aziende hanno lanciato programmi legati a un più cosciente sviluppo sostenibile; il dibattito riguardo ai temi ambientalisti non è stato percepito come una banale dissertazione filosofica, ma come un tema fondamentale nel contesto di quella famigerata "cosa pubblica" di cui la politica si deve fare paladina.

Bene; in Italia parlare di ecologia non ha mai riscosso troppo successo; l'estinzione dei Verdi ha ulteriormente ridotto gli spazi di discussione della politica italica su queste tematiche, nonostante la natura potesse essere uno dei maggiori veicoli per il rilancio economico del nostro paese. Di natura non si parla; forse per ignoranza, forse perchè si pensa che sia immutabile e che tanto ci sopravviverà così come l'abbiamo trovata. Male, molto male; la poca attenzione sull'ambiente riflette una mancata presa di coscienza del nostro ruolo nel mondo; i politici si sono spesso occupati di lucciole, ma di quelle che la luce non potevano che spegnerla. Una politica illuminata dovrebbe essere consapevole che abbiamo solo preso in affitto questo albergo su cui viviamo e che le generazioni successive meritano un'ospitalità adeguata, non rovinata da un passaggio di barbari. Il progresso è percorribile senza passare dallo stupro di ciò che ci ospita; anche questa è educazione civica, non solo la conoscenza della Costituzione o il dovuto rispetto delle regole democratiche.
I referendum del 12 e 13 giugno saranno un'occasione per l'opinione pubblica di far sentire la propria voce a riguardo; una volta, i genitori prendevano le lucciole, le mettevano sotto una campana di vetro e con astuzia, facevano comparire sotto il vetro un regalino allo stupefatto pargolo; da quando le lucciole si sono dileguate, sotto la campana ci siamo finiti un po' tutti e di regali ai figli,i genitori sono sempre meno in grado di farne.
Spero che quel bagliore che mi ha illuminato una sera di maggio sia un segnale che le cose stiano davvero per cambiare. 

sabato 21 maggio 2011

Il tramonto di un comunicatore.

E così Silvio Berlusconi ha ritrovato la parola. Ha confezionato cinque videomessaggi vagamente truccati da interviste per cinque diversi tg.
A mio modo di vedere, questa strategia è il più grosso errore comunicativo mai commesso dall'inquilino di Palazzo Chigi; innanzitutto, partiamo dalla scenografia: approssimativa, artefatta, asettica e distrattamente istituzionale: un drappo bizantineggiante  cela in parte i vessilli nazionali ed europei. Il set scelto marca un distacco evidente dai luoghi caldi dei ballottaggi, ponendolo su un piedistallo piuttosto inadeguato al momento storico; il premier, truccato all'inverosimile, è a primo impatto fin troppo simile alla memorabile imitazione di Sabina Guzzanti e la rigidità della sua posa, unita alla fissità dello sguardo, non trasmette quell'energia che ne ha contraddistinto i  migliori appelli. Appare stanco, lontano, né convinto, né convincente; le argomentazioni sono tanto superficiali quanto anacronistiche: vengono nuovamente rievocati gli spettri dei comunisti alle porte e l'incubo di una colonizzazione islamica, i problemi di sicurezza dati dai rom e l'inadeguatezza delle forze di estrema sinistra nella guida di Milano, specie con l'Expo vicino.
Su Napoli, invece, afferma che "non si può votare un ex pm d'assalto privo di qualsiasi esperienza amministrativa della città"; al di là del proverbiale attacco alla magistratura, stupisce il richiamo alla mancanza di esperienza gestionale, considerando il notorio sdegno del Presidente per i politici di professione.
Complessivamente è tutto il prodotto offerto a non convincere; l'idea che se ne ricava è quella di un Berlusconi alla ricerca del massimo risultato col minimo sforzo, privo di proposte e arroccato su dogmatismi sorpassati. Il tentativo di inculcare paura è sterile: come ho scritto ieri, soffia sul Mediterraneo e sulla politica in genere un vento di rinnovamento, portato da giovani dinamici, organizzati in movimenti e mal disposti a moniti e convenzionalismi. Preferiscono delle sincere maniche rimboccate ad abiti e posture impeccabili. I cinque messaggi hanno l'aria del 'già sentito', non emozionano. Forse perchè neanche il premier si emoziona più, forse perchè sente che la terra sotto trema e che il castello sta crollando. Arrivano da tutte le parti e lui sembra un pugile suonato, ormai sulle gambe. Un'evoluzione sociopolitica presuppone una narrazione efficace e sognante; una volta, Berlusconi si presentava al telefono come 'il sogno degli italiani'. Adesso le sue telefonate sono più infelici e forse la maggioranza di quei sogni hanno voci, facce e sfondi che non potrebbero essere più diversi.

venerdì 20 maggio 2011

Gente in movimento.

"Se non ci lasciate sognare, non vi faremo dormire". Così recita uno degli innumerevoli cartelli esposti alla Puerta del Sol di Madrid, crocevia della protesta che da domenica scorsa anima le piazze di oltre 60 città spagnole. I giovani manifestanti si sono organizzati tramite i social network e hanno occupato gli spazi pubblici per catalizzare l'attenzione sulla drammatica situazione di un paese dove la disoccupazione giovanile e il precariato hanno superato il livello di guardia. Si sono ribattezzati Movimiento 15-M, prendendo spunto dal giorno iniziale della mobilitazione, quel 15 maggio che anche in Italia potrebbe aver assunto forte valore simbolico. Chiedono vera democrazia da subito (Democracia real ya è il loro slogan) e per ottenerla sono pronti a lottare, come quei ragazzi a piazza Tahrir, come gli studenti in Iran o come le masse che hanno messo in fuga Ben Ali in Tunisia. Minimo comune denominatore è il desiderio di libertà, ma non solo; la parola 'movimento' implica un'idea di dinamismo che il termine 'partito' non ha; sottintende una struttura orizzontale che permette il reale coinvolgimento di chi si è sentito chiudere in faccia tante porte, spesso dalle stesse forze politiche tradizionali, ancorate su rigide organizzazioni verticali e percepite sempre più distanti. I partiti hanno puntato molto sulla personalizzazione mediatica della politica, ma la crisi di rigetto è tutta lì da vedere: richieste di referendum, piazze in agitazione, impegno per una democrazia non delegata, dimostrano la diffusa volontà di non farsi più rappresentare passivamente da pochi oligarchi-imbonitori. L'aspettativa per un deus ex machina pronto a risolvere problemi collettivi lascia spazio al naturale impulso ad aggregarsi di tante teste che, consapevoli di attraversare una fase storica complicata, si danno forza reciprocamente, senza idoli da adorare.
Il successo elettorale del Movimento 5 stelle ha le stesse fondamenta, pur distinguendosi per la presenza di un capopopolo ben riconoscibile; il suo successo starà paradossalmente nella capacità del suo creatore a diventare sempre più invisibile e a lasciare che siano i suoi seguaci a "movimentare" la statica scena italiana. In ogni caso i partiti tradizionali sono avvisati: quelli che 'non prendono parte' sono, sempre meno, 'gli indifferenti' odiati da Gramsci e, sempre più spesso, individui in movimento. Solo programmi seri e risposte concrete li indurranno a fermarsi da qualche parte.   

giovedì 19 maggio 2011

Nessun apparentamento. Apparentemente.

Le forze politiche escluse dai ballottaggi del 29 maggio si sono quindi pronunciate: nessuna indicazione di voto ai propri elettori del primo turno. Ognuno faccia la sua corsa. Nessun apparentamento. 
Ma sarà veramente così? Partiamo da una premessa: la scarsa capacità di mobilitazione popolare da parte dei leader nostrani è certificata dal lento e costante calo nell'affluenza alle urne; viene difficile pensare che un'indicazione di voto, neanche destinato al proprio segno, possa spostare sensibilmente la bilancia elettorale. Tuttavia è la storia politica del Terzo Polo e quella del Movimento5stelle a fornire ai rispettivi sostenitori indicazioni utili su chi scegliere al secondo turno.
Il Terzo Polo è espressione di diverse anime, ma l'impulso decisivo alla sua formazione l'ha dato il desiderio di chiudere l'epoca berlusconiana, dopo l'emarginazione di Casini e Fini voluta dal sempre meno loquace premier; al di là delle dichiarazioni ufficiali, dovute anche al mantenimento di una linea ostinata e contraria al bipolarismo, chi vota UDC e FLI sa che questa è un'occasione irripetibile per ribaltare la scena e mettere in ginocchio il PDL. Perchè dovrebbe quindi soccorrerlo?
Il M5S si dichiara antisistema. E lo è, senza alcun dubbio. Per quanto si possa discutere su echi populisti e approcci vagamente qualunquisti, non si può negare il generale interesse suscitato dal movimento e dalla sua "orizzontalità", tema di cui parlerò nei prossimi giorni. Il giovane Calise, nel ribadire l'assoluta volontà di non apparentarsi con alcuno dei due contendenti, ha lasciato intendere un maggiore gradimento di molti grillini per Pisapia; è logico che una forza politica nata per combattere i poteri forti, si trovi necessariamente a osteggiare l'elitarismo gelatinoso della gestione uscente e a simpatizzare maggiormente per un candidato appoggiato da giovani e centri sociali, lontano dagli apparati del PD e più attento all'ambiente.
Se Pisapia,De Magistris e Zedda sapranno intercettare questi consensi latenti, è molto probabile che la prossima visita di Berlusconi al Quirinale sia per una mesta e inevitabile uscita di scena.   

mercoledì 18 maggio 2011

Dal basso senza imposizioni.

Riflessioni sulla rinascita del centrosinistra: innanzitutto conta sempre meno il centro e sempre più la sinistra, non quella anacronistica, legata a simboli e strumenti di un mondo che non c'è più, ma quella che cerca di coinvolgere, di aggregare senza indulgere ai conti della serva nella ricerca dei voti e guardando in faccia chi si è sentito abbandonato.
E' rinato il PD? Non ancora. Lo farà se capirà che i Pisapia, i De Magistris o Zedda a Cagliari sono candidati voluti dal basso, lontani da nomine del partito, capaci anche per questo di smarcarsi dalle beghe di una politica nazionale ancora troppo vaga. Napoli docet.
L'insuccesso di Berlusconi e del suo modo di fare politica è inequivocabile; dopo anni di torpore, l'elettorato non si fida più di delegare tutto a una persona che solo a parole è "l'uomo forte", ma che nei fatti è incapace di gestire la complessità della modernità. E' un autocrate, propenso a circondarsi di burattini e sollazzatrici, convinto di poter sistemare tutto con una battuta o una nomina. Non basta più. Dare incarichi di governo ai Responsabili (?) è stata la goccia finale.
Presto avrà da fronteggiare anche una sempre più sterile Lega, che, appena ha provato a fare il partito di governo smettendo gli abiti del partito di lotta, è stata bastonata dalla sua base.
E i grillini? Il loro successo specula molto sul diffuso sdegno popolare, il loro approccio innovativo cozza però col paradossale unilateralismo del loro leader; la politica è confronto, l'indottrinamento è integralismo.
Ah, dimenticavo: il Pdl perde a Olbia e ad Arcore: ospite sgradito?