lunedì 30 maggio 2011

Venti ed eventi travolgenti.

Pisapia, sindaco di Milano.
Era nell'aria. Forse non eravamo consci di quanto fossero forti queste folate e dubitavamo del fatto che un generico  dissenso potesse trasformarsi in un risultato elettorale così chiaro. Da mesi le piazze venivano riempite da manifestazioni che contestavano il governo;  la convinta celebrazione popolare dell'unità d'Italia opposta allo scetticismo leghista e la presa di coscienza delle donne italiane, sfociata nell'oceanica adunata dello scorso febbraio, sono solo gli esempi più eclatanti.  
La discesa in campo di Berlusconi nel '94 aveva generato entusiasmi trasversali; un imprenditore di successo, così lontano nei modi e nel percorso personale da quella vetusta classe dirigente della Prima repubblica, aveva illuso una popolazione storicamente avvezza ad affidarsi a una figura forte ed apparentemente innovativa nei momenti più cupi. E' durato molto l'idillio, seppur contraddistinto da fisiologici alti e bassi: una consistente parte del paese ha avuto una fiducia quasi incrollabile nei suoi confronti, perdonandogli una perenne asimmetria tra promesse e risultati effettivi. D'altra parte l'alternativa era latitante: una sinistra litigiosa, incapace di far convergere in una posizione unitaria la sua complessa dialettica interna, ha steso il tappeto rosso per anni al berlusconismo. La confusione del centrosinistra ha allontanato un elettorato che pretendeva risposte chiare a problemi specifici; così la semplicistica narrazione politica del PdL ha affascinato cittadini smarriti, poco propensi a seguire le diatribe dello schieramento opposto. I guai giudiziari e personali del premier non sembravano scalfire il generale consenso attorno alla sua coalizione, sospinta da una Lega capace di cavalcare la volontà di arroccamento settentrionale, sia verso il centralismo romano, sia verso le ondate migratorie. 
Il politologo Lazar diceva che Berlusconi e i suoi avevano vinto una guerra di valori; ed è proprio da una repentina svolta valoriale che è nata questa rivoluzione di maggio. In presenza di una situazione economica sempre più precaria, la gente ha trovato rivoltante l'approccio volgare e offensivo dell'ultima campagna elettorale: non ha più riso alle barzellette misogine di un presidente lontano anni luce dai problemi di una società evoluta, consapevole e indignata. I suoi candidati non hanno dato risposte, mettendo in piedi una cervellotica campagna fondata sull'odio e non sulla proposta. Stavolta gli italiani si sono ribellati a questa deriva civile: lo hanno fatto stringendosi intorno alla moderazione di Napolitano, ritrovando i suoi toni pacati nella positività di Pisapia e la sua rettitudine in Luigi De Magistris,  uomo proveniente da quella magistratura tanto derisa a destra; hanno sentito il bisogno di legalità, diffidando delle oscure collusioni di Lettieri a Napoli; hanno capito l'irreversibilità del processo multietnico, sbarazzandosi dello strisciante razzismo della Moratti a Milano; in generale hanno apprezzato un modo di fare politica diverso, una politica partecipata, fatta di primarie e presenza territoriale.
De Magistris e la festa di Napoli.
Così la sinistra ha colmato il gap mediatico, coinvolgendo e dando speranza a un popolo stanco di delegare. Così ha vinto e così dovrà governare, sfruttando questo ritrovato entusiasmo, senza smettere di ascoltare la sua base allargata. Le aspettative create non possono essere disattese. Sarebbe imperdonabile.  

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