martedì 21 giugno 2011

Corpi e anticorpi. Una generazione rigenerata.

Umberto Eco.
"La rivolta dei giovani è figlia dell' universo dell' industria culturale: salvo che l'uso che i giovani hanno fatto dei prodotti dell'industria culturale non è quello previsto dai profeti, concilianti o surcigliosi (accigliati ndr),  dell'industria medesima. Paradossalmente chi contesta il Sistema è figlio del Sistema che ha prodotto i propri anticorpi". Parole scritte da Umberto Eco nel 1968,  che hanno però un sapore particolarmente attuale se guardiamo alla nostra fase storica e ai processi che la stanno attraversando.
Ha suscitato stupore il fatto che molti giovani partecipassero attivamente a una riconsiderazione della politica. Ormai da più parti si continuava a parlare di generazione perduta, di bamboccioni, di animali domestici incapaci di battersi per un sensibile cambiamento della situazione. Con una certa superficialità di giudizio si credeva che i modelli proposti dalla televisione consumista ed esteticamente elitaria rappresentassero quasi un'intera generazione. Non era così. Mentre bellocci e bellocce sfoggiavano il loro inconsistente narcisismo, adulati da teenager incollate al buco della serratura, cresceva una generazione che non aveva nessuna intenzione di inginocchiarsi a sbirciare. Non per questo cercava, come in altre epoche, di prendere a calci la porta. L' intenzione era semmai l'opposta: lasciare gli 'inconsapevoli' nella propria gabbia mediatica e riaprirsi al mondo attraverso strumenti vecchi e nuovi, dalle piazze a un uso funzionale della rete.
Così è rinata la speranza, colorata di arancione, di viola, ma soprattutto caratterizzata da una dialettica tra persone non vincolate a stereotipi partitici, legate solo dal desiderio di impegnarsi e di indignarsi contro una perenne degenerazione civile.
Questa generazione ha sentito così forte il bisogno di partecipare in prima persona perché si è resa conto della totale assenza di intermediari politici e anagrafici.
La vera generazione perduta è allora forse quella dei 40enni, quelli che nel pieno del loro vigore si sono fatti mettere fumo negli occhi da una gerontocrazia gelatinosa e tentacolare. Se l'Italia non è riuscita ad attuare una vera discontinuità con la Prima Repubblica la colpa è prevalentemente loro, pavidi burattini cresciuti all'ombra di vetusti potentati. Figli di una classe dirigente che concepiva il potere come spartizione di cariche e poltrone, ne hanno portata avanti un'altra dedita al misero compromesso e alla lottizzazione spacciandole per vocazione riformista e politiche di larga intesa.
Non so se i giovani sapranno far sentire la loro voce costantemente. È nella loro natura essere discontinui,  che si tratti di politica, sport o studio. Quello che contava però adesso era fornire una diversa accezione di discontinuità, da intendersi come rottura con schemi retrogradi di certi ipocriti benpensanti.
In quello hanno già vinto una battaglia generazionale con chi li ha preceduti.  E che presto saranno costretti a inseguirli, sempre che ne abbiano le gambe e il cuore per farlo.

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