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Umberto Eco. |
"La rivolta dei giovani è figlia dell' universo dell' industria culturale: salvo che l'uso che i giovani hanno fatto dei prodotti dell'industria culturale non è quello previsto dai profeti, concilianti o surcigliosi (accigliati ndr), dell'industria medesima. Paradossalmente chi contesta il Sistema è figlio del Sistema che ha prodotto i propri anticorpi". Parole scritte da Umberto Eco nel 1968, che hanno però un sapore particolarmente attuale se guardiamo alla nostra fase storica e ai processi che la stanno attraversando.
Ha suscitato stupore il fatto che molti giovani partecipassero attivamente a una riconsiderazione della politica. Ormai da più parti si continuava a parlare di generazione perduta, di bamboccioni, di animali domestici incapaci di battersi per un sensibile cambiamento della situazione. Con una certa superficialità di giudizio si credeva che i modelli proposti dalla televisione consumista ed esteticamente elitaria rappresentassero quasi un'intera generazione. Non era così. Mentre bellocci e bellocce sfoggiavano il loro inconsistente narcisismo, adulati da teenager incollate al buco della serratura, cresceva una generazione che non aveva nessuna intenzione di inginocchiarsi a sbirciare. Non per questo cercava, come in altre epoche, di prendere a calci la porta. L' intenzione era semmai l'opposta: lasciare gli 'inconsapevoli' nella propria gabbia mediatica e riaprirsi al mondo attraverso strumenti vecchi e nuovi, dalle piazze a un uso funzionale della rete.
Così è rinata la speranza, colorata di arancione, di viola, ma soprattutto caratterizzata da una dialettica tra persone non vincolate a stereotipi partitici, legate solo dal desiderio di impegnarsi e di indignarsi contro una perenne degenerazione civile.
Questa generazione ha sentito così forte il bisogno di partecipare in prima persona perché si è resa conto della totale assenza di intermediari politici e anagrafici.
La vera generazione perduta è allora forse quella dei 40enni, quelli che nel pieno del loro vigore si sono fatti mettere fumo negli occhi da una gerontocrazia gelatinosa e tentacolare. Se l'Italia non è riuscita ad attuare una vera discontinuità con la Prima Repubblica la colpa è prevalentemente loro, pavidi burattini cresciuti all'ombra di vetusti potentati. Figli di una classe dirigente che concepiva il potere come spartizione di cariche e poltrone, ne hanno portata avanti un'altra dedita al misero compromesso e alla lottizzazione spacciandole per vocazione riformista e politiche di larga intesa.

In quello hanno già vinto una battaglia generazionale con chi li ha preceduti. E che presto saranno costretti a inseguirli, sempre che ne abbiano le gambe e il cuore per farlo.
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