Tutta fiction. Sul pratone di Pontida si consuma l'ennesima farsa leghista, la solita rimpatriata tra vecchi compagni di lotta. Una volta sognavano di spostare una nazione, adesso si ritrovano a invocare lo spostamento di un paio di ministeri senza portafoglio. La base, accorsa in massa al raduno, mal sopporta la strategia attendista dei suoi dirigenti. Il discorso di Bossi viene interrotto più volte dalle gridate richieste di secessione del pubblico. In quella richiesta c'è un qualcosa di nostalgico; c'è la voglia di ritrovare quella Lega degli inizi che prometteva di scardinare il potere e non di diventarne ingranaggio manovrato. Non è solo una richiesta geografica, ma soprattutto un desiderio di affrancarsi dal berlusconismo, una secessione da chi ha usato il Parlamento per farsi leggi su misura usando i voti leghisti.
Le risposte dal palco però sono tiepide e non scaldano i cuori dei militanti che vogliono azione, senza giri di parole né giochi di palazzo. Chiedono concretezza ma l'unica cosa tangibile che ottengono è la comica targa del prossimo ministero a Monza, feticcio di un potere che non esiste. Nel mostrare quel simbolo alla loro gente, Bossi e Calderoli non si accorgono di quanto la loro sbandierata purezza padana sia contaminata dalla vituperata Roma ladrona. Raccolgono firme per attuare un decentramento anticostituzionale ma soprattutto poco importante per gli stessi padani, a cui poco interessa avere il ministero come vicino di casa se all'interno si continuano a fare gli interessi di altri.
Le camicie verdi applaudono il loro leader malconcio consapevoli di rappresentare il suo bastone della vecchiaia, grati per le lotte intraprese e scettici per l'incompiutezza effettiva di molte di esse. Il Senatùr parla a fatica, ma le sue parole risulterebbero di difficile comprensione anche se fossero lette da Ugo Pagliai.
Minaccia di non appoggiare più Berlusconi se non verrà data un'accelerata alle riforme richieste dal suo partito. Tanta demagogia mal pronunciata; l'anno scorso il senatore Stradiotto del Pd presentò un emendamento alla manovra finanziaria chiedendo di circoscrivere a urgenze particolari l'uso delle auto blu. La Lega votò contro, anche se dal palco di Pontida il suo leader grida contro di esse.
Insulta i giornalisti "coglioni" e "stronzi", sproloquia sui cicli storici sbagliando di una ventina d'anni la fine della Destra storica. Ostenta preoccupazione per le masse di profughi sbarcati dalla Libia, in verità 14000 in tutto, una quota del tutto gestibile. Avvisa Tremonti, gesticola, bofonchia. L'ultimatum a Berlusconi è poco credibile e la gente, che acclama solo Maroni, lo sa.
Ricorda quelle innamorate disposte a perdonare sempre l'amato traditore. La primordiale intransigenza leghista è molto sbiadita nei suoi dirigenti. Mettere il ministero vicino a casa non significa voler stare in mezzo alla propria gente, ma forse solo stare più comodi. È dura fare la rivoluzione dalla poltrona. A Monza o a Roma ha poca importanza.
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