
Le risposte dal palco però sono tiepide e non scaldano i cuori dei militanti che vogliono azione, senza giri di parole né giochi di palazzo. Chiedono concretezza ma l'unica cosa tangibile che ottengono è la comica targa del prossimo ministero a Monza, feticcio di un potere che non esiste. Nel mostrare quel simbolo alla loro gente, Bossi e Calderoli non si accorgono di quanto la loro sbandierata purezza padana sia contaminata dalla vituperata Roma ladrona. Raccolgono firme per attuare un decentramento anticostituzionale ma soprattutto poco importante per gli stessi padani, a cui poco interessa avere il ministero come vicino di casa se all'interno si continuano a fare gli interessi di altri.

Minaccia di non appoggiare più Berlusconi se non verrà data un'accelerata alle riforme richieste dal suo partito. Tanta demagogia mal pronunciata; l'anno scorso il senatore Stradiotto del Pd presentò un emendamento alla manovra finanziaria chiedendo di circoscrivere a urgenze particolari l'uso delle auto blu. La Lega votò contro, anche se dal palco di Pontida il suo leader grida contro di esse.
Insulta i giornalisti "coglioni" e "stronzi", sproloquia sui cicli storici sbagliando di una ventina d'anni la fine della Destra storica. Ostenta preoccupazione per le masse di profughi sbarcati dalla Libia, in verità 14000 in tutto, una quota del tutto gestibile. Avvisa Tremonti, gesticola, bofonchia. L'ultimatum a Berlusconi è poco credibile e la gente, che acclama solo Maroni, lo sa.
Ricorda quelle innamorate disposte a perdonare sempre l'amato traditore. La primordiale intransigenza leghista è molto sbiadita nei suoi dirigenti. Mettere il ministero vicino a casa non significa voler stare in mezzo alla propria gente, ma forse solo stare più comodi. È dura fare la rivoluzione dalla poltrona. A Monza o a Roma ha poca importanza.
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