13 giugno: matrimonio con la democrazia |
Per il terzo lunedì nel giro di un mese, l'Italia che ha smesso di ridere alle barzellette del suo non più ineffabile premier sorride di fronte ai risultati delle urne. Il paese della risatina di circostanza, accondiscendente davanti all'occupazione privatista della sfera pubblica, torna a guardare col sorriso sulle labbra un futuro che non sembra più una prospettiva utopica.
C'è chi ha ancora il coraggio di dire che questo referendum non deve avere una valutazione politica. Mi scappa da ridere: come si può non considerare il voto di ventotto milioni di italiani, quasi unanimi nel cancellare quattro pilastri legislativi del governo in carica, una chiara e luminosa risposta politica ? L'istituto referendario è l'atto politico per eccellenza perché chiama in causa, senza intermediazioni partitiche, i cittadini, interrogandoli sulla bontà o meno della condotta dei loro rappresentanti. La sovranità popolare viene in queste occasioni esercitata nel modo più chiaro possibile: sì o no, giusto o sbagliato. Una massa di persone ha scritto su quattro diverse schede che questo governo ha sbagliato; attraverso una partecipazione corposa ha avvertito parecchi cartonati immobili travestiti da politici che c'è una società in evoluzione, ormai disposta a informarsi per vie tortuose pur di avere coscienza e conoscenza di ciò che le succede intorno.
Hanno detto in molti che questo raggiungimento del quorum è frutto della definitiva affermazione della rete sulla televisione per quanto riguarda la comunicazione politica e i suoi derivati. Concordo solo in parte. È vero che la mobilitazione su internet ha aggregato un consenso insperato ma non bisogna dimenticare che la silenziosa marcia di uscita dal berlusconismo è cominciata dalla televisione, quando dieci milioni di persone hanno scelto di guardare Vieni via con me anziché inocularsi l'ennesima dose di Grande fratello. Era, guarda caso, sempre lunedì. Così com' era lunedì quando Gad Lerner nel corso della sua trasmissione rimbrottava aspramente l'intervento telefonico di Berlusconi, come al solito unilaterale e offensivo. Per non parlare di Annozero, talmente seguito che il premier gli ha attribuito responsabilità per la batosta elettorale. Non conta il mezzo, contano i contenuti; il segnale più positivo è semmai il fatto che di fronte ad un oscurantismo o a un deficit di credibilità della televisione, la gente riesca a trovare strumenti informativi alternativi e coinvolge i più restii a partecipare a questo processo di rinnovata educazione civica.
Il sì urlato in piazza. |
Ho sentito Formigoni sostenere una tesi interessante, ossia che gli italiani avrebbero votato contro il governo qualsiasi domanda inserita nei referendum perché la priorità popolare era mandare a casa Berlusconi. Forse sottovaluta un po' l'alta qualità dei quesiti proposti, ma probabilmente centra un problema cruciale: il paese non vuole più Silvio Berlusconi come capo del governo. In un certo senso è stato un referendum ad personam, soprattutto perché la gente che si spende quotidianamente per i temi pubblici non tollera più un leader teocratico ed egoista, mai in grado di scendere da un piedistallo sempre più simile al trespolo di un pappagallo in gabbia. Un primo ministro che ogni lunedì deve presentarsi in tribunale a rispondere di svariate accuse. Forse davvero le persone avrebbero votato qualsiasi cosa contro di lui, ma non lo avrebbero fatto per semplice presa di posizione: qualsiasi quesito posto dal popolo non può trovare risposta da chi lo governa, un uomo troppo coinvolto nel risolvere i propri problemi per occuparsi dei problemi di tanti. Meglio darsele da soli allora certe risposte. Sembra Marzullo, ma è democrazia.
complimenti continui cosi e continui cosi l'Italia intera. saluti, Eugenio Scalfari
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